Chi è Belzoni PDF Print E-mail
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 Belzoni  Nato a Padova nel 1778, figlio di un barbiere, Giacomo, e di una donna robusta di alta statura, Teresa Pivato. Da lei il figlio Giovanni prenderà l’eccezionale statura e la prestanza fisica. Aveva tre fratelli e una sorella. Il suo cognome reale era “Bolzon” e quindi tipicamente veneto (anche oggi le province di Padova, Vicenza e Treviso hanno il primato di concentrazione dei cognomi Bolzon e Pivato). Con il fratello Antonio, a tredici anni fuggì per più giorni da casa per recarsi a Roma. Si fermò sugli Appennini e ritornò a casa col fratello piangente.

Si segnalò fin dalla giovane età come curioso, estroso, intelligente. Era affascinato da Roma e dai suoi monumenti. A 17 anni vi si recò, mandato dal padre, in collegio per studiare e forse per diventare prete. A Roma si dedica agli studi affascinato però più dall’idraulica e dalla storia che da altro. Poi andò a Parigi a commerciare immagini sacre con poca fortuna pare. Iniziò poi la sua vita in giro per l’Europa che lo portò anche in Olanda.. Per evitare la coscrizione nell'esercito napoleonico nel 1803 si rifugiò in Inghilterra che divenne la sua seconda patria d’adozione.

Statura fisica eccezionale (alto due metri), fisico statuario, occhi azzurri, capelli e barba fluenti, espressione decisa. Venne definito un Ercole e preso a modello per statue. Le donne erano affascinate dalla sua bellezza e prestanza fisica. Portava due grandi baffi e veniva ammirato sui palcoscenici dei teatri popolari di Londra e di altre città inglesi dove visse sfruttando la sua notevole stazza (era alto due metri) e la sua forza erculea lavorando come artista in un circo, dove faceva l'"uomo forzuto" con il nome di "Patagonian Samson" ("Sansone Patagonico"), con una imbracatura di sessanta chili in ferro, si caricava da solo una piramide umana costituita da un'intera famiglia di dodici persone. . I suoi giochi d'acqua hanno appassionato le platee di mezza Europa e le truppe di Wellington in marcia verso Waterloo. Diviene famoso e riscuote per nove anni successi tali da essere conteso dai salotti bene e da essere definito “il più bello dei giganti” da Walter Scott; Charles Dikens ne apprezza le qualità morali e Lord Byron loda la piacevolezza nella conversazione. Tutti lo conoscono come The Great Belzoni.

Svolse vari mestieri: acrobata, ballerino, sollevatore di uomini (piramide umana), esperto di idraulica, cercatore di tesori, ingegnere, archeologo, esploratore. Fu certamente un eclettico. La sua carriera prese avvio e successo dalla sua prestanza fisica. Si impose dunque prima come ballerino, acrobata, sollevatore di uomini ed esperto nei giochi d’acqua. Stanco della vita da teatrante decise di trasferirsi con la moglie a Costantinopoli. Ebbe una seconda fase della vita dove cercò di imporsi come ingegnere idraulico e di fatto inventò una ruota idraulica per sollevare le acque dal Nilo alle terre da irrigare. Nella terza fase lavorativa della sua vita si dedicò ed ebbe enorme successo come scopritore di monumenti della civiltà egizia di enorme valore archeologico. Nell’ultima parte della sua vita seguì il suo spirito avventuriero e di esploratore investendo gran parte dei suoi averi per organizzare una spedizione alla scoperta delle sconosciute sorgenti del Niger.

Tratti psicologici: deciso ed energico, ma anche generoso; intuitivo, tenacissimo, grande osservatore, intelligente, animato da spirito d’avventura, ambizioso. La sua fuga da casa all’età di tredici anni, testimonia il suo spirito di avventura fin da ragazzo. Nei rapporti con gli altri ebbe la fortuna di incontrare personaggi che intuirono le sue potenzialità e gli dettero fiducia. Sapeva collaborare, ma era anche uno spirito libero, non gregario, consapevole dei propri talenti e spesso si imbarcò in imprese difficilissime riuscendo ad ottenere grandi successi. Si guadagnò il rispetto delle popolazioni locali, non solo a causa del suo carattere e della sua forza, ma anche per la considerazione che aveva per gli usi e costumi locali, dato che amava indossare abiti e barba di foggia araba. Dove gli altri fallivano, lui riusciva e…suscitava ammirazione e stupore sia negli ambienti che contavano, sia presso i suoi lavoratori-operai a pagamento.

  Considerato l’iniziatore dell’egittologia (la curiosità, l’interesse e lo studio della civiltà egiziana nei suoi oltre tremila anni di evoluzione). Arrivò in Egitto nel 1815 richiamato dalla possibilità di presentare al Pascià d’Egitto una macchina idraulica per sollevare le acque del Nilo. Sono questi gli anni in cui in Europa si sviluppa il fascino per l’Oriente, per i suoi misteri e tesori nascosti, il gusto per l’esotismo e l’avventura, sulla scia della spedizione napoleonica in Egitto del 1798. Inizia così il suo contatto con l’antica terra dei Faraoni. Conosce persone importanti che gli apriranno grandi prospettive grazie alla sua capacità di cogliere le occasioni e di imbarcarsi in imprese per altri impossibili. Una di tali persone fu Bernardino Drovetti, console francese con il quale ebbe prima un rapporto di collaborazione e che divenne poi un suo antagonista. Il Drovetti diverrà il principale fornitore del museo egizio di Torino e Belzoni invece del British Museum. All’inizio, come ripiego per guadagnarsi da vivere, si incaricò dunque, su commissione del britannico Henry Salt, di trasportare dal Ramesseum (nella piana di Deir el-Bahari) al Nilo la gigantesca statua di Ramesse II (12 tonnellate), portando miracolosamente a termine l'impresa, in sole due settimane. Con un po' di attenzione si può ancora scorgere il nome di Gianbattista Belzoni dietro un orecchio della testa ciclopica di Ramesse II che oggi si trova nella grande sala egizia del British Museum, a Londra.In nessuno di questi di casi, come per tutti gli altri reperti ritrovati dall'archeologo italiano, il British Museum ha ritenuto opportuno di informare il pubblico sulla paternità della scoperte. Sui cartelli non si parla di Belzoni. Le sue scoperte, insieme alla capacità di far parlare di sé, unita alla sua prestanza fisica, alla capacità di organizzare eventi e mostre e di scrivere il libro delle sue avventure e scoperte, di disegnare e di importare reperti di grande valore in Europa, lo resero il vero iniziatore dell’egittologia.

Ebbe il merito di far parlare tutti i giornali d’Europa delle sue importanti scoperte. In pochi anni percorse in lungo e in largo l'Egitto, risalendo il fiume Nilo fino ad Assuan, scoprendo sotto la sabbia il tempio di Abu Simbel, riuscì a penetrare all’interno del tempio di Abu Simbel, il cui ingresso era ostruito dalla sabbia del deserto; scoprì la città di Berenice, esplorò la Valle dei Re scoprendo la tomba di Seti I, una delle più belle della valle e che è oggi nota anche con il nome di "Tomba Belzoni", che aprì sfondandone la parete con un ariete formato da un tronco di palma. Trasportò a Londra migliaia di reperti, fra cui un colossale obelisco che servì poi a Champollion (1822) per verificare la sua decifrazione dei geroglifici. L’obelisco gli costò un’aspra contesa e l’amicizia col Drovetti nonchè un processo contro il vecchio amico e ora nemico che lo minacciò, intimidì e quasi gli fece rischiare la vita.. Dalla tomba di Seti I, inoltre, egli riportò a Londra il sarcofago in alabastro translucido del re che offrì al Britis Museum per 2000 sterline. Il museo rifiutò l'offerta, così scatenando anche le ire dell'opinione pubblica, ed il sarcofago venne acquistato dall'architetto John Soane (che lo fece installare nella "cripta" della sua abitazione ove, ancora oggi, si trova). Tra le molte scoperte vi fu quella, nel 1818, dell'ingresso della piramide di Chefren, la seconda per altezza dopo la Piramide di Cheope. Dacché troppo spesso altri si erano appropriati delle sue scoperte, lasciò la sua vistosissima firma all'interno della camera sepolcrale. La sua firma può essere trovata anche accanto ad un piede della statua in granito nero di Amenofi e su un altare proveniente dal tempio di Montu, a Karnak. A Padova, sua città natale, donò due statue leontocefale, sarcofagi e papiri.

Morì in Ghana, a 45 anni, da esploratore alla ricerca delle sorgenti del fiume Niger. Investì in questa impresa molte risorse economiche. Intraprese questa avventura dopo che l’inimicizia col Drovetti e il processo lo aveva amareggiato e deluso. Aveva percepito che l’Egitto era terra in cui non poteva più muoversi liberamente: troppi nemici, troppe invidie, troppi interessi in contrapposizione. Era tempo di far altro. Si parlava delle mitiche sorgenti del Niger, dell’altrettanto mitica città ricchissima nel deserto di Timbuctù. Belzoni si lanciò in questa impresa. Prima tentò la via del Marocco. Desistette per la presenza di popolazioni ostili. Si imbarcò e tentò la via del Ghana. Morì di malaria dopo tre giorni dall’avvio dell’impresa. Il suo corpo è ancora là, sepolto a due metri di profondità, sotto un grande albero che potrebbe, magari esserci ancora a segnare il luogo di un grande padovano.

Aspetti chiave e\o contrastivi della sua vita

Il contrasto con il console francese Bernardino Drovetti la cui amicizia inizialmente gli aprì molte porte importanti e che si trasformò, via via in inimicizia col pretesto-causa iniziale della presunta appropriazione di un obelisco da parte del Belzoni, rivendicato anche dal Drovetti. In realtà la causa principale dovrebbe essere individuata sia nell’eccessiva intraprendenza del Belzoni sia nel fatto che egli curava gli interessi di una nazione. L’Inghilterra, in contrasto con la Francia al cui servizio era invece il Drovetti.
Il suo fortissimo bisogno di “nobilitarsi” agli occhi degli ambienti sociali ed intellettuali più elevati…prima adottando il cognome “Belzoni” e tacendo sempre il suo cognome veneto “Bolzon”, poi cercando di accreditarsi come romano e poi di origine romana.
Il disagio
-vergogna che gli procurava, dopo che si era affermato come scopritore di antichità e archeologo, l’essere stato un teatrante, un sollevatore di uomini, un fenomeno da baraccone. Egli cercò di nascondere sempre questo suo passato che percepiva come screditante e che i suoi detrattori, per invidia, usavano certo per diminuirlo agli occhi di chi lo ammirava. Nel suo diario infatti evita di fare cenno a quella pur lunga parte della sua vita temendo offuschi la sua rispettabilità.
La fortuna di aver sposato una donna, la scozzese Sara Barne, che lo aiutò a farsi sentire più inglese presso gli inglesi e che fu una eccezionale figura anch’essa propensa all’avventura, che lo sostenne, si adattò alla vita del suo uomo, lo incoraggiò, lo accompagnò spesso, lo attese a lungo, ebbe buone capacità relazionali, lo amò per come era. Con lei fonda all’inizio una compagnia di teatro e di piazza che si esibisce nei “quadri mitologici, nelle esibizioni di forza e nei giochi d’acqua. Di lei, però, non parla molto nel suo “Narrative”, facendo capire però che era una donna al di sopra della media. La competenza nel risolvere a suo favore situazioni sfavorevoli soprattutto nel rischio sempre presente di perdere concessioni e permessi a causa dei sospetti e dell’avidità delle corrotte autorità locali. Egli con le buone (regali, caffè, pistole…) o con le cattive (urla, minacce, scossoni…) riusciva a farsi strada con un tempismo eccezionale.
La conoscenza delle lingue. La sua forza fisica e l’impressione sorprendente che produceva la sua prestanza fisica e la sua altezza. La competenza nell’arrivare a trovare soluzione a problemi che altri non riuscivano a risolvere insieme ad una forte determinazione.
Fu un audace e un romantico, lanciato a realizzare grandi imprese che lo rendessero famoso e importante agli occhi dei suoi contemporanei e della storia, in questo lontano da sete di denaro o avidità. Morì infatti povero.
Come archeologo: i suoi successori, da Champollion, Rosellini, Breccia, il grande Howard Carter (scopritore della tomba di Tutankamon), Marro…di lui parlarono positivamente sia dal punto di vista archeologico, come disegnatore e come descrittore (si veda scheda dei giudizi storici, solo in piccola parte critici).
Come allestitore di mostre e promotore di eventi: organizzò un’esposizione sulla tomba di Sethi I, nota anche come tomba Belzoni, nell’Egyptian Hall di Piccadilly che ebbe un grande successo grazie anche all’affascinante allestimento di Belzoni. Nell’edificio erano state riprodotte due sale della tomba a grandezza naturale con riproduzioni delle pitture parietali e tutto l’ambiente era immerso in una penombra misteriosa con un sapiente uso dell’illuminazione che metteva in evidenza i dipinti.

Padova irriconoscente? Molti studiosi e commentatori accusano la città di Padova di non essere stata attenta a questo suo figlio e di non meritarselo alla fin fine! Perché…

L’Indiana Jones in Belzoni

Non è escluso, anzi probabile, che lo scrittore George Lukas si sia ispirato a Belzoni (oltre che ad altri storici come il tedesco Otto Rahn o esploratori come lo statunitense Roy Chapman Andrews ) per il personaggio che poi Spielberg portò con tanto successo nel cinema. Jones sta infatti per Giovanni (Indiana era il nome del cane).

Perché G.B.Belzoni è un Indiana Jones?

  Cacciatore di antichità preziose e misteriose: tombe e tesori archeologici (tomba di Seti I nella Valle dei Re e sarcofago di alabastro), templi (tempio e statue giganti di Ramsete II e tempio ipogeo ad Abu Simbel), passaggi segreti (scoprì il passaggio segreto che portava alla camera mortuaria nella piramide di Chefren), nemici che lo minacciavano e pronti a sparagli a Tebe…mentre visitava dei suoi terreni a mezzadria, venne circondato da trenta arabi con Lebolo e Passignano (al srvizio di Drovetti) lo insultarono, gli puntarono un fucile al petto per aver sottratto, a dir loro, l’obelisco di File, picchiarono il servo, spararono un colpo di pistola alle spalle per provocarlo. Sotto pressione Belzoni scaraventò a terra alcuni arabi.
Prese una scudisciata ad una gamba e ne ebbe per un mese. Prese un pugno, reagì, prese una fucilata di striscio in testa che gli bruciacchiò i capelli e la pallottola uccise un soldato lì vicino. Lavorò nelle fabbriche di nitro. A Luxor per prelevare Memnone aggredito disarmò della scimitarra il capo villaggio. Nel tragitto tra El Kassar e Zabu, il cammello di Belzoni incespicò in salita e rotolò per il pendio pietroso trascinando con sé Belzoni che ne ebbe per più di un mese.
Nel deserto libico al lago di Meride, Belzoni fu accusato, poiché aveva fatto vedere al capotribù col cannocchiale un tempio, di non aver rispettato i patti, poiché avvicinava a sé le rovine del tempio (ingrandite dal cannocchiale).
Era un romantico coraggioso, spericolato, fisicamente forte e atletico, avventuroso, dominato da un Ulisse nel petto che lo poneva sempre alla ricerca di nuove frontiere in lotta sempre con qualche nemico o qualche minaccia.